Entrare a Istanbul in sella alla moto è un’esperienza di cui uno farebbe volentieri a meno. Non è una situazione disperata come guidare a Shanghai, ma è comunque un gran casino, soprattutto quando sono già otto ore che stai per strada come un pellegrino.
A Istanbul rischi di non capirci più niente se non ti sei documentato prima, divisa com’è tra Asia e Europa da quella striscia di mare.
Ah ecco qui siamo in Europa, li è Asia. No aspetta è Europa pure lì. Forse siamo già in Asia. Sì cazzo, abbiamo fatto un ponte, siamo in Asia! Ah no un momento, il ponte che va in Asia è quell’altro.
In questo giorno e mezzo di pausa dalla moto abbiamo fatto le classiche cose da turisti, con uno Struso trasformatosi in novello Messner che sarà per le scarpe da trekking, sarà perché continua a doparsi di arginina, vuole camminare a tutti i costi anche quando un tram ci porterebbe a destinazione in un attimo.
Avendo lui prenotato in culonia, alla fine del soggiorno nella città il contapassi segna 30km buoni, percorsi nel mio caso con delle misere scarpe di tela. Quasi che erano meglio gli stivali da moto.
La moschea blu è una mondezza, piena di impalcature interne per i lavori di restauro e intasata di turisti che si ammazzano per il selfie della vita. Incredibile come in moschea non si possa entrare con le scarpe, le donne non possano manco avvicinarsi a capo scoperto, ma tutti siano liberi di sbraitare e sgomitare per una foto dal sapore mistico da postare in tempo reale su Instagram. Grande mestizia.
Molto meglio il palazzo Topkapi e l’Harem del sultano, almeno li le foto sono vietate (anche se qualche demente che ci prova lo stesso c’è sempre).
La traversata in traghetto sul Bosforo al tramonto ha il suo perché: da un lato spazza via ogni residuo dubbio geografico (se continui a confondere Europa e Asia pure da dentro lo stretto è una faccenda neurologica seria), dall’altro ti permette di rifiatare per qualche ora mentre il cielo intasato di gabbiani si colora di viola e i moezin ululano i loro canti dai minareti.
Non mi piace girare per grosse città, ma Istanbul ha indubbiamente carattere. Addirittura ci tornerei. Magari però con le scarpe da trekking.
Domani andiamo verso la Cappadocia, circa 900 km da spezzare in due tratte. Bella Istanbul per carità, ma ricordiamoci che siamo qui per sbrigare altre faccende.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!