Sardegna in moto 2019 – Giorno#1 – Itinerario in vacca da subito

Erano già due volte che i miei piani per un giro in moto in Sardegna abortivano, non avrei potuto sopportare una terza rinuncia. Quindi, nonostante manco stavolta il meteo fosse esattamente accomodante, ho insistito per concretizzare capitalizzando il ponte dei morti.

Della partita Struso col suo Transalp  650 (la mia cara vecchia Silver Slut) e il Bertellone con la sua Africa Twin 1000. Tre giorni effettivi sull’isola tra asfalto e sterrati, per quello che riusciamo a fare noi di sterrato senza romperci l’osso del collo.

Struso è già stato presentato nei racconti della Turchia, stavolta ci sarà più spazio per il Bertellone, uomo dalle mille risorse. Genovese, sorriso smagliante, voce radiofonica, fisicità da anchor man. Ipertecnologico, ipercablato e iperconnesso, sembra un upgrade di homo sapiens, la sintesi quasi perfetta tra l’umanità del carbonio e la capacità di calcolo del silicio.

L’unica cosa strana è che nonostante l’incredibile mole di aggeggi messi in campo, a volte il Bertellone sfoggia scatti inspiegabilmente sfocati.

Sardegna in moto 2019 - Giorno#1 - Itinerario in vacca da subito

 

Ma bando alle ciance.

 

Giorno 1: da Golfo degli Aranci a qualche parte nel Gennargentu

L’itinerario originale va clamorosamente a puttane già dal giorno 1, precisamente attorno alle 15, giusto un paio d’ore prima che le tenebre ci avvolgano sul Gennargentu. Ma niente spoiler.

Dopo una splendida mattinata tra facili ma gustosissimi sterrati sulla costa est all’altezza di Capo Comino, puntiamo ringalluzziti verso Orgosolo tramite asfalto. Un bell’asfalto.

 

Subito fuori dell’abitato abbandoniamo la civiltà seguendo un tracciato GPX che nelle intenzioni avrebbe dovuto condurci fino ad Aritzo tramite sterrato. Un percorso che già si preannunciava non troppo facile per dei novellini dell’off alle prese con moto pesanti come le nostre.

Ma lo sapete come vanno ‘ste cose: quando uno è stronzo, è stronzo.

La traccia ci porta su un letto di un fiume molto poco invitante, decidiamo quindi di fare inversione e seguire due pastori sardi a bordo di un pandino che ci indicano una via per uscire dal dedalo di sentieri nel quale ci eravamo infilzati. A un certo punto il duo sardo ci segnala la salita mostruosa (daga) con cui tagliare la montagna e arrivare in tempi umani a Fonni. A sentire loro molto pendente e sconnesso, ma niente di proibitivo. Basta spalancare il gas.

E spalanchiamo sto gas. Salgo per primo. Non so come, ne esco illeso e arrivo quasi in cima, fermandomi alla fine del pezzo più critico per dare indicazioni su dove passare agli altri. Facile un cazzo, comunque. Mi fermo e aspetto il secondo che parte. E’ Struso, che va, va, va. E poi all’improvviso non va più. Gli parte l’anteriore e rovina a terra, proprio sul punto più ripido e più bastardo.

Il Bertellone punta dritto su Struso e lo sorpassa, ma da bravo maniaco della tecnologia quale è, invece di pensare alla traiettoria si distrae armeggiando al Traction Control che si è dimenticato di disinserire. Lo vedo da dietro che prende una traiettoria strana e infatti…esce e si impianta su degli arbusti. Moto a terra. Sigh.

Le successive tre ore sono un calvario. Per prima cosa liberiamo l’Africa del Bertellone, facendo decine di tentativi che gli bruciano come minimo il 10% di posteriore. Le tentiamo tutte, alla fine riusciamo a tirarla fuori non si sa come. Bertellone riparte e raggiunge la mia moto col fiatone.

Tocca alla Silver Slut, ed è pure peggio. Sta infossata tra pietre e sassi di varia grandezza, a una pendenza da pista nera. Struso non tocca e fa fatica, mi chiede di provare a tirarla fuori. D’altronde sono stato il proprietario di questo cazzo di Transalp per 8 anni, il nome gliel’ho dato io, non farà lo stronzo proprio adesso.

Nì.

Perché la tiro fuori la maledetta Silver Slut, ma a caro prezzo. La frizione, ci accorgiamo in cima, è andata. Non il cavo, proprio la frizione. Bruciata. Siamo ufficialmente nella merda, e il buio si sta abbattendo sul Gennargentu dove siamo solo noi e qualche mucca che si sente in lontananza.

C’è poco da fare: abbandoniamo la Silver Slut al suo destino e tentiamo di finire la salita per raggiungere in qualche modo la statale (che naturalmente non sappiamo dove sia).

Ma io sono così stanco per gli sforzi e si vede ormai così poco, che mi becco un ramo in testa e rovino a terra. Peccato non avere il filmato, sarebbe stato esilarante. Niente, è già la sesta caduta di gruppo. Siamo a due cadute a testa, manco male per essere il primo giorno. Le moto illese, il fisico pure. E’ la mente che vacilla.

Mi carico Struso sull’Africa e andiamo avanti per sentieri sterrati che si fanno sempre più bui. Niente, non si vede davvero più una mazza adesso. Tanto che nel buio più pesto scendo dalla moto, inciampo in una radice e mi tocca appoggiare a terra la moto una terza volta. Siano santificate le paracerene maggiorate Heed, ma non ce la facciamo più a rialzare questi bestioni.

C’è una cascina con delle mucche che ci guardano. Tutti pensiamo la stessa cosa (anche se per ora nessuno la dice): toccherà dormire lì.

E invece da Google Maps intravediamo una via di salvezza. Seguiamo un piccolo sentiero che si allarga e all’improvviso la terra diventa cemento, il cemento diventa asfalto. E’ fatta.

Arriviamo all’agriturismo i Monti del Gennargentu, dove dopo una ferrea trattativa condotta in due fasi, strappiamo una tripla con cena imperiale e colazione per 50 euro a testa. Ok, lo sciacquone del water non va e tocca usare il secchio, ma sempre meglio della cascina del Gennargentu.

Domani c’è da trovare il modo di recuperare la povera Silver Slut, adesso c’è solo da sfondarsi come maiali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Daniele ERMES Galassi

Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!

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