Giro in sella alla Silver Slut come un disperato nelle prime luci del giorno per il dedalo di viuzze di Litochoro. Un autentico labirinto di stradine in salita a senso unico costellate di affittacamere e negozietti. Non c’è quasi nessuno in giro. Cerco senza successo l’inizio del sentiero E4 che porta a Prionia in 5 ore, da cui poi si raggiunge il rifugio Spilios Agatipos in altre 3 ore. Totale dislivello per la tratta di oggi 1800 metri in 17 km. Tradotto: una bella sfacchinata. E vorrei cominciare il prima possibile.
Dopo mille imprecazioni trovo quello che cerco e comincio di slancio. La parte fino a Prionia è un saliscendi su terreno abbastanza tecnico, fortunatamente spesso sotto bosco, che prima costeggia e poi si addentra nella la gola di Enipea con diversi attraversamenti del fiume tramite ponti in legno.
Fa caldo. L’ambiente è incontaminato e silenzioso, giusto le punte dei bastoni da trek che affondano sul terreno sconnesso accompagnate del tonfo dei miei scarponi. Pochi gli uccelli, mi devo fermare per sentirne qualcuno cantare. Sullo sfondo un fruscio, folate di vento intrecciate al rumore del fiume che scorre ora vicino ora più lontano. Guardando a est verso Litochoro vedo il sole alzarsi su un’immensa lastra d’argento: è il mar Egeo.
Sono solo io. Fino a che non incontro due tedeschi paracadutati: vestiti come due che portano il cane a pisciare, hanno idee molto confuse su tutto ciò su cui si può avere un’idea. Tempi, distanze, dislivelli, difficoltà tecniche: non sanno una beata mazza. Ma vogliono salire.
Farfugliano di dormire nel rifugio ma non hanno prenotato, di arrivare in vetta e poi tornare giù il giorno stesso, di scalare la cima più alta dell’Olimpo a mani nude anche se soffrono di vertigini e non hanno mai scalato niente in vita loro. Insomma sono i classici tipi che in montagna ci tirano le cuoia. Provo a farli ragionare, tipo provate a telefonare al rifugio per verificare se c’è posto, ma niente. Sono tedeschi e come tali dei muli irremovibili.
Ci ritroviamo a Prionia, pranziamo insieme e loro ripartono. Li raggiungerò in un’oretta, stimo. Invece niente, scompaiono inghiottiti dal sentiero E4. Arrivo al rifugio in circa 3 ore, prendendomela comoda e gustandomi i panorami di una tratta tutta in salita nonostante Zeus che borbotta e minaccia acqua dal cielo. Non trovo i teutonici, ma trovo un certo fermento. L’argomento clou è Mytikas, la vetta più alta.
La domanda che tutti si stanno facendo è più o meno questa: se non sei uno che arrampica abitualmente puoi salirci senza guida e senza attrezzatura?
Guardando le foto a me sembra molto più NO che sì, eppure leggendo qua e là, prima della partenza, pareva esserci del cauto possibilismo.
Il possibilismo lo stempera però Maria, la proprietaria del rifugio:
‘Mytikas? Meglio di no, andate su Skolio.’
Skolio (2911) è la seconda vetta dell’Olimpo, sorge solo 6 metri più sotto di Mytikas (2917), ma è raggiungibile senza arrampicare. Basta continuare a camminare da Skala, una sella che funge da snodo: a destra Mytikas, a sinistra Skolio.
Sono con Umberto e Giulia, due biellesi trapiantati a Milano col vizietto del trekking. Siamo piuttosto concordi nell’accantonare il proposito Mytikas in favore di un più prudenziale Skolio. Io in realtà coccolo ancora qualche margine di possibilità, se non altro voglio vedere di cosa parliamo una volta arrivato a Skala e poi decidere.
Ogni tanto usciamo dal rifugio e diamo un’occhiata alle vette: la situazione meteo si ribalta ogni dieci minuti, alternando sereno a pioggia. E da quaggiù, 800 metri più a valle, il profilo seghettato di Mytikas sembra assolutamente inviolabile, almeno per noi poveracci che non siamo arrampicatori.
Tanto vale dormirci su e cercare di perdere i sensi prima che la camerata mista da quaranta letti si trasformi nella solita stalla. Anche perché alle 5,45 mi aspetta la sveglia: Skolio o Mytikas che sia, per le 9 voglio essere in vetta. Nel frattempo un paio di greci improvvisano un duo chitarra-voce con grandi classici ellenici, latino americani e italiani. L’ultimo ricordo che ho è una Giardini di marzo che alterna democristianamente strofa in greco con ritornello originale in italiano.
Prima di addentrarmi in camerata esco fuori dal rifugio e non c’è una nuvola, migliaia di puntini luminosi sopra la mia testa. E niente, mi sono attardato troppo, le stelle m’hanno fregato: per quando mi decido a rientrare la camerata ha già fatto sue tutte le caratteristiche organolettiche della tanto temuta stalla.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!