Ed eccoci qua ai blocchi di partenza: dopo 4 ore passate sull’asfalto rovente del molo di Igoumenitsa, il portellone della nave (arrivata con un paio d’ore accademiche di ritardo) si apre tra sinistri clangori nella luce del tramonto.
I motori rombano, qualcuno sgassa e sfriziona, la tensione si taglia col coltello: la strenua lotta per la conquista dello spazio vitale sta per avere inizio.
Tutti lo sanno, lo sanno benissimo: ogni istante sprecato per le manovre di parcheggio nei garage diminuirà le probabilità di riuscire a trovare il lembo di pavimento libero dove accamparsi per la notte.
Che il macabro rituale si compia.
Il primo impatto col garage della nave è sempre da girone dantesco: i minimi baritonali della sala macchine borbottano cupi, la temperatura subisce un + 30 celsius e l’aria, impregnata di gas di scarico, diventa fuoco nei polmoni. Ma siamo appena all’inizio. È quando la folla si riversa sui ponti della nave che l’isteria si fa realmente palpabile. Tante formichine impazzite, cariche come bestie da soma.
Una coppia di romani corre febbrile da un corridoio all’altro brandendo materassi, sacchi a pelo e pompa. Un grido disperato di battaglia risuona epico nel ponte 9:
Amò e daje che si nun ce movemo ‘sta nottata la passamo in bianco!!! E moviteee!!!
Dopo pochissimi istanti alcuni sono piazzatissimi nei punti strategici con brandine montabili del Decathlon. Hanno occupato i posti migliori contemperando tutte le variabili chiave:
- Rapporto di aero-illuminazione (poca luce e giusta quantità di aria condizionata)
- Distanza dalle porte che danno sull’esterno (le porte di notte sbattono!)
- Distanza dai corridoi più trafficati
- Distanza dai televisori
- Vicinanza alle prese di corrente (ambitissime)
Tanto che mi viene il dubbio che questa gente si sia studiata la piantina della nave prima di salirci: sapevano già dove infilarsi e la via più breve per arrivarci. Deve essere così.
Trovo posto al ponte 9, un signor posto con veduta mare, con i due romani poco distanti: ma è il capitano stesso a sfrattarci quasi a calci in culo. Non vuole straccioni sul ponte 9. E come dargli torto. Ma io sono solo e viaggio leggero, scatto in avanti mentre i due romani annaspano nel panico: hanno gonfiato due materassi matrimoniali e correre su e giù per la nave per loro sarà molto più difficile. Sgonfiarli significherebbe perdere ulteriore tempo e di tempo non ce n’è: una massa di disperati sta tappando ogni centimetro quadrato disponibile.
Lui, il romano, si agita sudatissimo. Mi ispira un’atavica antipatia alimentata probabilmente dalla competizione per lo spazio fisico vitale, tanto che gli bucherei quel cazzo di materassino sovradimensionato. Ma adesso ho da fare. Lo vedo sfrecciarmi davanti tutto trafelato col materassone sottobraccio mentre ormai mi sono appropriato di un angolino vicino a una pianta ornamentale.
Nessuno mi muoverà da qui, stavolta sono pronto a sfidare le più alte autorità in carica. Simulerò una colica renale, una paralisi, arriverò a fingermi morto se necessario. Fosse l’ultima notte che dormo in vita mia, ma la dormirò qui, accucciato in questo spigolo come un bacarozzo che si nasconde dal padrone di casa.
A un’ora dall’apertura dei portelli la procedura di imbarco non è ancora conclusa, ma i corridoi sono già il campo profughi che mi aspettavo: materassini, stuoini, brande, teli mare e via discorrendo. E’ in uno di questi budelli infernali che troveranno posto i due romani, stremati e ormai sull’orlo di una crisi di nervi.
Ma è il ponte esterno a stupire: si è trasformato in una tendopoli, con igloo da campeggio aperti in ogni angolo. L’aria è appiccicaticcia, il mare ci vomita addosso umidità e salinità. I miei capelli sono ormai una massa spugnosa, il solo pensiero di districarli una volta arrivato a casa mi dà un buon motivo per ipotizzare di tagliarmeli una volta per tutte.
Manco a farlo a posta, arriva uno dei motociclisti che aspettava con me in prima fila all’imbarco e scopro che fa il parrucchiere a Chieti. E niente, la serata finisce così: a parlare di maschere districanti per capelli nel campeggio improvvisato sul ponte esterno della Superfast per Ancona.
Sostanzialmente finisce così anche il racconto di questo gustosissimo viaggio nei Balcani, perché non mi pare il caso di farvi perdere tempo parlando della notte passata rintanato in quell’angolo rumoroso, della luce sparata in faccia e della pietosa procedura di sbarco gestito alla cazzo di cane dal personale greco della Minoan Lines.
Alla prossima. Spero presto.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!