Nota preliminare: non sarà un post allegro.
Mi sono appassionato alla tremenda storia di Srebrenica dopo aver visitato il museo del genocidio a Sarajevo nel 2018. Da allora ho letto diversi libri e ho messo in watchlist il film ‘Quo vadis, Aida’ del 2021. Era quindi del tutto naturale che stavolta volessi vedere coi miei occhi i luoghi degli eventi del luglio 1995.
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Esco da Montenegro e entro in Serbia, nessun problema stavolta. Panorama montano, piuttosto dimesso rispetto al Montenegro, asfalto nettamente peggiore, ma non c’è nessuno. E questo, di prima mattina, soprattutto se abbinato a quell’arietta di montagna impregnata di pino, è un toccasana.
Guido circa tre ore in territorio serbo e arrivo al confine bosniaco: perquisizione lato Serbia.
– Niente da dichiarare?
– No.
Mi smontano tutto: aprono la borsa, le borsette, le medicine, guardano sotto la sella della moto, dentro il portafogli, dentro le tasche. Quando mi fanno mettere gli ultimi 50 euro sul tavolino li battezzo per spacciati, invece mi il doganiere fa cenno di rimetterli dentro.
Entro in Bosnia agevolato da un controllo rapido e punto su Srebrenica. Sarà che mi avvicino all’epicentro del più agghiacciante massacro avvenuto in Europa nel dopoguerra, o più semplicemente sarà che sto per rimanere a secco, ma mi sento solleticato da una strana agitazione.
Srebrenica è lunga e stretta: una strada di un chilometro circa che si sviluppa tra i declivi di due montagne trapuntate di tombe musulmane che spiccano nella folta vegetazione. Si può risalire le scarpate e arrivare a questi cimiteri tramite scalinate che partono dalla via principale.
Non c’è altro, a parte un benzinaio (meno male), negozi sbarrati, qualche casa, un ostello chiuso, un market, due minareti e una coppia di poliziotti, che manco a dirlo mi fermano per un controllo sotto un sole che squaglia il cervello dentro al casco (35 gradi segnalati dalla moto, quindi diciamo 32 effettivi).
Dall’alto si presenta così:
Di un posto per mangiare neanche a parlarne, quindi tiro dritto verso il compound ONU di Potocari, dove in quel luglio 1995 era di stanza il battaglione olandese ritenuto colpevole di non aver mosso un dito mentre le truppe serbe comandate da Ratko Mladic portavano avanti la loro pulizia etnica in nome di un sogno chiamato Grande Serbia.
E tutto questo nonostante l’enclave musulmana di Srebrenica fosse stata proclamata Safe Zone dall’ONU: ecco perché questo massacro è considerato simbolo del più totale fallimento della comunità internazionale.
Fuori dal compound, oggi convertito a museo, sotto un sole spietato si ammassarono circa 20.000 musulmani bosniaci: chiedevano protezione mentre i serbi di destra ultranazionalista invadevano l’enclave armati fino ai denti.
Quando arrivarono a Potocari cominciarono a separare: uomini da una parte, donne e bambini dall’altra. Iniziava così la fase operativa del genocidio. Alcuni vennero uccisi in loco, altri deportati in furgone per essere torturati e ammazzati in paesini limitrofi, altri si dettero alla fuga per i monti giocandosela alla roulette dei campi minati.
Solo 5.000 furono accolti dentro i recinti del compound ONU, ma anche lì si registrarono vittime. Più tardi si scoprirono fosse comuni, fosse comuni secondarie e addirittura terziarie per depistare: il processo a carico degli esecutori materiali è ancora in corso presso il tribunale dell’Aja, tra reticenze e ostruzionismi delle parti chiamate in causa (il governo serbo ha per anni protetto Mladic dall’arresto) e colpevole mancanza di volontà politica da parte della comunità internazionale.
Fuori dal compound è stato istituito un memoriale, con migliaia di tombe disposte su più livelli in un prato e enormi lastroni di marmo su cui sono scolpiti i nomi delle vittime riconosciute. Su una di esse il contatore segna 8.372.
Come premesso, non è stato un post allegro, ma di allegro la storia recente della Bosnia ha poco o niente.
Sono le 15 circa e ho fame, posso contare solo su quel misero Mars liquefatto che tenevo da parte per le emergenze. Me lo faccio bastare e mi butto su Sarajevo per la notte, altra città che di tragicità ne ha da vendere. I Balcani sono anche questo.
PS:
Per chi volesse approfondire cosa è successo a Srebrenica appena 27 anni fa a un tiro di schioppo da casa: https://it.wikipedia.org/wiki/Massacro_di_Srebrenica.
Sotto il trailer di ‘Quo Vadis, Aida?’ film bosniaco dedicato al massacro di Srebrenica candidato all’Oscar.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!