Ci sono cose dell’America latina a cui non ci si riesce proprio ad abituare.
L’interruttore della luce invariabilmente distante dal letto che però te ne accorgi quando ormai sei sotto un cumulo di coperte.
Le prese per ricaricare genialmente piazzate nei posti più scomodi, inaccessibili o nascoste dietro ai comodini.
Le tazze del cesso formato mignon in cui non devi mai e poi mai buttare la carta igienica ma che ti ci frega sempre e dici amen, ormai ho sbagliato. Speriamo non intasi.
Anche la Colombia da quanto vedo non fa eccezione, ma il piatto forte della serata è il bastardissimo mal d’altura che mi trivella la testa qui a Bogotà, quota 2600. Che proprio niente non è se vivi tutto l’anno a livello del mare.
Sarà il viaggio infinito con logistica opinabile, il jet lag o quei bicchieri di troppo in aereo, ma sono ridotto a un inutile straccio su un materasso duro, lontanissimo dagli affetti ma soprattutto dalle prese e dagli interruttori. Senza contare quella minuscola tazza con cui ben presto sarò chiamato a misurarmi.
Sono le 8 di sera e voglio solo perdere i sensi ma la mia paura è che alle 2, massimo 2 e mezzo, mi ritrovi già con gli occhi spalancati per il jetlag e col soroche ancora lì che mi lavora ai fianchi ricordandomi chi è che comanda sulle Ande.
Non so ancora se anche in Colombia il mal d’altura si chiami soroche come in Perù e Bolivia, per ora so solo che è altrettanto bastardo.
Soroche o mal d’altura sarà comunque una nottata di merda, col fiato corto che ti muore nei polmoni e quella sensazione di soffocamento aggravata dalla mancanza di finestre in questo buco col soffitto basso.
Lo so per ora il mood non è di quelli spumeggianti…ma ho interessanti prospettive per il futuro (cit.)
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!