El Caribe è sempre el Caribe!
Così mi disse un fattone romano qualche anno fa in una spiaggia del Messico.
Finché non vedi Santa Marta, aggiungo io, dove i Caraibi assumono le sembianze di una orripilante caciara ad alto tasso di umidità, rumore e traffico.
Già la corsa in bus urbano per arrivare in centro su strade intasate di macchine, furgoni, motorini e lavori in corso mi fa capire che questo caos non fa per me, quindi faccio quello che devo fare alla svelta (cioè prenotarmi per il trekking alla Ciudad Perdida che parte domani da questa cloaca caraibica) e mi dileguo verso Minca, qualche centinaio di metri più in alto.
Poi noleggio un TT e faccio sterrati su due ruote per tutto il pomeriggio, mettendomi a mollo in qualche piscina naturale quando la trovo, beato come un pupo.
E adesso, dopo sei ore, sono stipato in un pick up pieno di mochilleros lanciato alla velocità della luce per i tornanti che da Minca mi riporteranno (spero) nella fogna del Caribe. Ogni curva una scommessa con la meccanica, con la fisica, con la sorte.
Spero di arrivare vivo perché ho pagato un occhio della testa per quella sgambata di quattro giorni che parte domattina e davvero non vorrei mai e poi mai tirare le cuoia con crediti di sorta all’attivo.
Se sopravvivo a questa ennesima corsa scriteriata* vi farò sapere se il tanto decantato trekking alla Ciudad Perdida vale quel che costa.
*Spoiler: sono sopravvissuto.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!