Ieri tra città sotterranee della Cappadocia, sgambata nella Valle di Ihlara (altri 10km sempre vestiti di tutto punto da motociclisti, nell’ora dove il sole dà il peggio di sé) e sparata complessiva di 560 km fino al lago di Egirdir, era stata una giornatina mica da ridere.
Oggi c’è da fare forse di peggio, quindi partiamo di buon’ora dal lago puntando dritti su Pamukkale malcelando una certa diffidenza: secondo noi sarà intasato di gente.
E poi quelle piscine termali a agosto sono quasi tutte vuote, ormai lo sanno pure i sassi. E poi chi ha bisogno di una piscina termale quando fuori furoreggiano 40 gradi, dai.
E infatti facciamo giusto in tempo a arrivare al sito e squadrare la situazione che le moto sono già puntate inesorabilmente in direzione opposta verso lo stretto dei Dardanelli.
C’è però un twist improvviso quando vediamo una deviazione per il sito archeologico di Aphrodisias.
Che non te lo vuoi fare? Sono proprio le ore più calde, è un’occasione ghiottissima!
Ed eccoli di nuovo lì, vestiario da moto addosso e breccia nel cervello col sole a picco su quelle teste di minchia. Giusto un’oretta, che sarà mai. Segue consueto crollo livello sali minerali, ma stavolta niente aranciate pagate col sangue.
Risalendo verso nord buttiamo al vento le mappe e iniziamo a zig zagare tra costa e interno su stradine dissestate, strade bianche e strade in terra più o meno battuta mentre il sole ci fa capire che noi siamo liberi di continuare a sgassare quanto ci pare, ma lui di lì a poco si tufferà a mare.
Ma come si fa a fermarsi. Non c’è praticamente nessuno. Ocra e verde fanno staffetta passandosi il testimone quando meno te lo aspetti, col sole che accende l’Egeo sullo sfondo. Potrei trottare in questo ambiente in eterno, anche con questa croce delle valigie laterali. Come faranno quelli col GS a girare tutto l’anno con questa zavorra non lo capirò mai.
Ma è alle porte di Canakkale che uno Struso in presumibile overdose della solita arginina ha un guizzo: suggerisce di tentare di prendere stasera stessa il traghetto che ci porterà al di là dello stretto dei Dardanelli. Diciamo che la butta lì.
Piano audace, audacissimo. Impresa quasi impossibile. Sono le 19.10 ma io non so perché ci credo lo stesso.
Convergiamo a spada sul porto senza sapere niente: né dove si compra il biglietto, né come si compra, né a che ora è l’ultimo passaggio.
Sì, ci sto credendo.
Bravo Struso, hai avuto l’idea vincente.
Ma è un attimo, perché la via per il porto è intasata e ci imbottigliamo malamente.
Perdio Struso, che idea di merda. Te la tolgo quell’arginina (ammesso che sia arginina a questo punto).
Ma in appena un’ora di limbo tra i peggiori gas di scarico dove siamo lì a infiliarci come meglio possiamo tra macchine, van e pullman, arriviamo all’imbarco e avviene il miracolo. Senza uno straccio di controllo siamo a bordo.
Ultimi, il portellone si chiude alle nostre spalle col solito rumoraccio e la bagnarola parte, col parziale della giornata che segna un maestoso 610 km.
Mentre Struso maneggia a testa bassa sul suo cellulare (è da una settimana che sta sempre a liberare spazio su quell’affare), mi butto sul ponte perché il cielo è stato invaso da tinte pastello. Sembra una coppa gelato fragola e puffo.
Lo stretto dei Dardanelli al tramonto è una roba grossa.
Grande Struso, idea sfavillante. Continua con quell’arginina mi raccomando.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!