Sommosse gastro intestinali a parte, la nottata in yurta passa meglio del previsto. Colazione, cesso da campo (e tre!), partenza.
Anche oggi sbagliamo qualcosa: dopo ore di salita svalichiamo un passo a 3400 metri, ma scopriremo solo poi che non dovevamo mica passare di lì. Dopo il valico lo sterminato lago di Son Kol ci si spalanca davanti, ed è proprio come vedere un mare sdraiato a 3000 metri.
Il lago balugina in lontananza, la faccenda è ancora lunga ma almeno si comincia a scendere.


In ogni direzione corrono distese d’erba apparentemente senza fine ormai bruciate dal sole. Cavalli liberi sonnecchiano, giocano e si buttano al galoppo giù per le colline in una nuvola di terra e polvere.



Ma anche oggi il problema è trovare il campo giusto in questi spazi: sembra di rimanere sempre immobili pur muovendosi, è tutto troppo grande per la scala umana.
Lo azzecchiamo in tarda serata collezionando circa 23 km contro i 19 del manipolo guidato da Lucas-il-programmatore-di-crisi (vedi puntata precedente). Arriviamo prosciugati dal sole, dalla sete e dalla fatica, tanto che ormai di andare a vedere il lago da vicino manco se ne parla.
A occhio e croce stanotte farà freddino.

Al risveglio c’è lassismo: la mia squadra ha chiesto al 4×4 di venirci a prendere alle 14 per rilassarsi in riva al lago, io avrei preferito telare via prima per evitare un altro pernotto a Kochcor, ma ai tedeschi il lago non puoi proprio toccarglielo. Quando vedono un lago non ci sono cazzi: bisogna stare al lago.
In quanto tedesco non fa eccezione Lucas, che si accomiata in infradito dicendo che farà una passeggiata da solo attorno al periplo (che misurerà centinaia di chilometri) e dormirà in qualche altro campo, iniziando – parole sue – a programmare la prossima crisi. Non credo sarà sopravissuto, non aveva nemmeno l’acqua ed era già mezzo bruciacchiato a metà mattinata.
Io invece mi dedico al bucato. Lago anche basta (mi rendo conto solo ora che non gli ho fatto manco una foto). Però in compenso ecco i miei pantaloni appesi ad asciugare.

Puntuale come le tasse, ecco il 4×4 sbucare da dietro una collina: la strada di montagna che imbocca è assolutamente spettacolare. Foriamo. Ripartiamo. Arriviamo a Kochkor.

Guardo l’orologio, sono le 17.30: con un coupe de theatre stravolgo il programma, saluto tutti con calore italico e mi lancio in una serie di passaggi su mezzi locali tra cui un surreale taxi in cui veniamo stipati in sette. Voglio arrivare a Bokonbajevo per la notte per recuperare le ore perse stamattina al lago.
Non sarà facile, ma sento che ce la posso fare.

Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!