Apro gli occhi nell’oasi di S. Ignacio. Ci sono arrivato ieri sera, dopo l’incontro fiabesco con le tenere balene. Qui a S. Ignacio appena si svolta dalla statale si viene tramortiti da un’inaspettata esplosione di palme. Palme, palme, palme. Ovunque. Un fiume placido e rigoglioso, uccellini che cinguettano mentre il rosa stria il cielo al tramonto, ragazzini che giocano, vecchietti assorti nella platica ai bordi della minuscola plaza. Oh, addirittura musica dal vivo: un gruppetto sta provando un repertorio folk in uno stanzone spoglio dietro la piccola, immancabile, missione. Dopo ore di guida ipnotizzante per l’aspro deserto del Vizcaino, fatto di sconfinate distese puntellate di cespugli, qui a S. Ignacio pare di stare nel vortice della movida di Manhattan.
In realtà qui c’è una quiete diversa. Nel deserto avverto come una tensione sotterranea. Forse è la strenua resistenza che ogni forma di vita deve opporre al deserto stesso se vuole essere ancora lì domani. O forse sono io che dopo un tot fondo e farfuglio. Nell’oasi di S. Ignacio invece la vita viene via facile, questo è certo. C’è pure la musica live dai, cazzo vuoi di più.
Ho in mano delle mappe per due hiking sulle mesas che circondano il villaggio, me le ha date Juanita. Juanita gestisce la casa Lereè, una villa niente male che veniva affittata a turisti. Ora è adibita a biblioteca, si può entrare e chiedere di consultare un bell’arsenale di roba, tipo pubblicazioni o foto d’epoca. Juanita è nordamericana (vero nome Jane), pallida come una chiara d’uovo e molto posata in ogni movenza. Sembra galleggiare alla moviola. Assieme alle mappe offre una stretta di mano docile e gelatinosa. L’aria che si respira a casa Lereè ha una nuance di tempi andati, di glorie che furono. Un’aria che non può che farmi immaginare una Juanita rimasta vedova, che tira avanti con i suoi cagnolini un’esistenza all’insegna della nostalgia. Chissà magari in realtà Juanita si sbronza, si droga, va a ballare tutte le sere o rimorchia su Tinder qualche baffone dell’oasi, ma a me piace incorniciata così: una gentile signora, orgogliosa custode di tempi migliori ormai sfumati.
Adesso però voglio dispensare qualche consiglio per chi ha intenzione di passare per S. Ignacio e correrò il rischio che questo possa sembrare un travel blog serio.
Consiglio #1: chiedete di Juanita, raccattate quelle mappe e fatevi le due scarpinate. Vi prendono mezza giornata a passo lento e hanno interessanti vedute sulla vallata. Palme, palme, palme. E sulle mesas dove salirete troverete cactus, cactus, cactus. Ma anche mangrovie e tante altre piante sconosciute di cui Juanita vi fornirà una guida. Ah, e teschi di animale sparsi qua e là. Insomma un gustoso assaggio di deserto.
Consiglio #2: Occhio ai cactus e loro varianti! Sono franato su una choya ed è stato davvero penoso estrarmi quelle di spine dal polso e dal gomito. Sono artigli tremendamente tenaci, una volta che si fanno strada nelle carni vogliono restarci. E porco boia il dolore arriva alle ossa (e ci rimane un paio di giorni).
Consiglio #3: non prendete il caffè. Fa schifo in ogni bar di S. Ignacio.
Consiglio #4: accettate di buon grado i bottoni dagli sconosciuti. Sono a cena seduto su un tavolo e mi sento osservato. Una coppia di pensionati della California, bramosa di conversation, mi punta come un leone punta una gazzella per poi lanciarsi in una narrazione serrata sulla loro vita on the road. Al terzo bicchiere di vino che ordino, al rubicondo ex costruttore della California di nome Greg sovviene un dubbio: ma ti piace il vino? La perspicacia made in USA. Greg si impettisce, si arrampica sul retro del suo enorme pick up con superficie utile calpestabile doppia rispetto a quella di casa mia, armeggia al buio mettendo in bella vista uno spacco di culo rimarchevole che la moglie fa finta di non vedere ed estrae orgoglioso una bella Private Reserve 2014 di Cabernet Franc californiana, invecchiata in piccole botti di rovere francese. Me la regala. Bene Greg, mi piace il vino che fa legno e spero che il 2014 in California non sia stata annata nera come in Italia.
E questo ci porta dritti all’ultimo consiglio:
Consiglio #5: ok lo spagnolo, ma un inglese spigliato aiuta molto in Baja California Sur, terra popolata da cactus, palme e gringo munifici.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!