Una grande traversata in solitaria del Sud America: dall’Ecuador alla Patagonia cilena e argentina, passando per il Perù e chiudendo con due capatine in Brasile e Uruguay. Un viaggio per me memorabile.
Due parole introduttive
Questo viaggio in solitaria di 2 mesi prevede nelle mie intenzioni di esplorare parte dello sterminato continente sudamericano percorrendolo da nord a sud attraverso Ecuador, Perù, Cile, Argentina e risalirlo poi per una capatina in Brasile con ripartenza dall’Uruguay. Un percorso a V o più probabilmente a Y ma questi sono dettagli. Non ho la minima idea se terrò aggiornato questo diario di viaggio, ma se sarà, sarà poco ortodosso (vedi Islanda 2015).
Pronti, partenza, via (dal natale).
Partire il 25 dicembre mi era sembrato il modo migliore per raggiungere tre obiettivi cardine: saltare pranzi coi parenti, pagare meno il volo e celebrare degnamente il rito pagano del Sol Invictus.
La combinazione di mezzi che ho scelto (autobus + taxi abusivo) mi ha però fatto ritrovare all’aeroporto di Bologna alle 3 di notte, cioè con 4 ore di anticipo sul volo e con 0 (zero) ore di sonno all’attivo. Era questa la parte farraginosa del piano.
Il consueto check in lumaca a Bologna (per l’immancabile famiglia sudamericana con 70 valigie fuori peso da imbarcare che manda tutto in tilt), il volo fino a Madrid incastonato in ultima fila (con conseguente irreclinabilità della seduta), le 4 ore di attesa prima della sofferta tratta intercontinentale (11 ore circondato da infanti indemoniati e genitori appisolati) mi hanno fatto ritrovare a Bogotá (Colombia) ridotto a un cencio (anche perché non riesco a dormire in aereo).
A conti fatti, sono partito 23 ore fa da Ancona e me ne mancano ancora 6 per Quito (Ecuador) tra scalo e volo. E poi mi ci vorrà un altro paio d’ore tra bagagli, dogana e autobus per l’ostello.
Considerato tutto questo tran tran, il jetlag che mi sveglierà all’alba e soprattutto il mal d’altura (sulle Ande detto soroche), domani si prospetta una giornatina frizzante a Quito, che coi suoi 2850 metri sul livello del mare non te la manda a dire.
Io e il soroche abbiamo un contenzioso aperto dal lontano 2007, quando mi stese moribondo su un letto di un ostello di Cuzco, Perú, per 20 ore. Feci il grave errore di atterrare a Cuzco da Lima, cioè salii da zero a 3200 metri in un’ora. Da li in poi mi acclimatai e toccai i 5.400 senza grossi problemi, ma nel 2009 il soroche mi diede un’altra picconata in testa in Bolivia, alla Laguna Colorada (4.000 metri). Insomma da allora, io all’altitudine je do del lei. O per lo meno la metto in conto.
I sintomi del soroche? Variano da forte mal di testa, febbre, spossatezza, mal di stomaco, nausea, fino ad arrivare a edemi polmonari o peggio cerebrali dalle conseguenze fatali (in questi casi bisogna scendere immediatamente di quota e pregare). Sembra che alcuni ne siano immuni, ma sfortunatamente la storia dice che io non sono tra quelli.
La strategia è sempre la stessa: salire per gradi, foglie di coca e vaya con dios!
Nota
La cocaina è l’alcaloide che si estrae dalla foglia: è una droga, fa male, costa una fortuna ed è proibita. La foglia di coca è innocua, economica, legale, utile contro i sintomi del soroche. E ha un saporaccio.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!
38 commenti su “Sud America 2015/16 – Giorno #1 – In volo verso le Ande + considerazioni sul mal d’altura”