Una grande traversata in solitaria del Sud America: dall’Ecuador alla Patagonia cilena e argentina, passando per il Perù e chiudendo con due capatine in Brasile e Uruguay. Un viaggio per me memorabile.
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La Lonely Planet sconsigliava Huaraz nella stagione delle piogge, quindi mi ci sono praticamente fiondato. Anche perché sembra che qui i cicli meteo siano impazziti, col risultato che in 20 giorni di Ande non ho beccato un goccio di pioggia. E questo, almeno per il mio orticello e per quello di chi campa di turismo, é sicuramente un lato positivo del calientamento global.
Ripuntare sulle montagne (e che montagne!) prima di lasciare il Perù mi è parsa l’unica cosa sensata da fare, sobillato, c’è da dirlo, da insistenti voci di corridoio che davano tempo splendido sulla cordillera blanca alla faccia della Lonely Planet.
Giorno 1: Rovine Chavin. Buttato praticamente nel cesso. Per questioni tecniche, fisiche e logistiche mi sono ritrovato tra famigliole e pensionati peruviani il cui unico scopo era immortalare. Un sasso, una roccia, un pezzo di legno: qualsiasi elemento la guida nominasse o indicasse, ebbene esso andava fotografato o filmato. Un po’ il sonno (venivo da una trottata notturna in bus di 10 ore), un po’ che mi sentivo davvero fuori luogo, non vedevo l’ora finisse questo calvario di ben 10 ore. D’altronde ho infranto la regola aurea (mai prendere parte a un tour che non implichi una vera sfacchinata) e mi sono ritrovato nell’inviso circuito ‘turista da spremere’. Ben mi sta.
Giorno 2: Laguna 69. Semplicemente eccezionale, un vero highlight. Una paradisiaca e lussureggiante valle trapuntata di pascoli, fiumi, ponteggi e cascate conduce in 3 ore a una laguna glaciale color turchese incastonata tra pareti di granito a 4.500 metri, generosamente alimentata dalle nevi eterne (salvo effetti in questo caso negativi del calientamento global). Partenza alle 5.45 della mattina, ma ci tornerei subito. Durante l’ascensione convivialità frenata dalla fatica, ma al ritorno il van si trasforma in un simposio di economisti in cui si dibatte sulla politica monetaria argentina, sulla conseguente iperinflazione e sulle strategie di privatizzazione messe cinicamente in atto dalla nuova elite al potere. Mica cazzi.
Giorno 3: Nevado Pastoruri, altra gemma del parco di Huascaran. Un ghiacciaio, il cui fronte retrocede di 14 metri annui (eccolo, un effetto negativo del calientamento global) nonostante qui parliamo già di 5.000 metri sul livello del mare. A una certa salta fuori che é il mio compleanno e nel pulmino le donne impazziscono di gioia (???) cantandomi gli auguri in spagnolo, portoghese, inglese con una verve inaspettata. Per uno che non festeggia mai il suo compleanno, é stato un diversivo di un certo spessore.
A sto punto che si celebri senza freno anche in ostello: prima di prendere il bus notturno per Lima investo ben 11 Soles (circa 3 USD) in birraccia peruviana da bere con Flavio, un altro disadattato di Pordenone che vaga per il mondo quando può, sebbene con un ritmo infinitamente più blando del mio (che lui definisce follemente amfetaminico).
Peccato fossi stato costretto a prenotare i trasporti, perché mi sarei fermato volentieri di più a Huaraz. Ma anche questo fa parte del gioco: meglio alzarsi da tavola con ancora un po’ di fame che nauseati.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!