Una grande traversata in solitaria del Sud America: dall’Ecuador alla Patagonia cilena e argentina, passando per il Perù e chiudendo con due capatine in Brasile e Uruguay. Un viaggio per me memorabile.
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Hai voluto la bici? Pedala!
Che saliscendi questi giorni di trek al Torres del Paine, e non solo dal punto di vista planimetrico. C’è stato di tutto: nuovi amici, tanto vino (venduto caro come l’oro), disagio, fatica, paura, adrenalina. E poi pioggia, sole, neve, vento.
Già: il vento.
Qualcuno s’è fatto davvero male al quarto giorno, quando i famigerati venti magellanici hanno soffiato alla folle velocità di 165 km/h, arrivando a rovesciare un bus…31 feriti di cui 12 gravi si diceva in rifugio.
Quanto a me, mai avrei pensato di trovarmi aggrappato a una roccia con tutte le mie forze, sussurrandole parole d’amore (era pur sempre S. Valentino perdio!) e sperando che fosse ben piantata al terreno…o di essere sbattuto per terra come un sacco di patate da una raffica improvvisa quanto letale, nonostante la zavorra dello zainone da circa 9 kg. Per non parlare delle facce scartavetrate dal pietrisco che ti arrivava in volto con una forza da spaccarti le lenti degli occhiali (che naturalmente ho perduto credo durante la rovinosa caduta).
E dire che ormai io e Alex, il mio compagno di sventura berlinese per i giorni 3 e 4, avevamo la nostra routine di difesa: appena la raffica veniva annunciata dal rumore di fronde, ci accucciavamo puntellandoci coi bastoni da trek e o aggrappandoci all’aggrappabile. Una roccia, una pianta, un albero, a volte persino un altro escursionista. C’era gente che invece si lanciava direttamente a terra mutuando per l’occasione tecniche belliche, soprattutto per evitare le sassaiole killer.
Il bollettino di guerra non lo sapremo mai, ma l’andazzo non prometteva niente di buono, tantoché i ranger hanno chiuso alcune sezioni particolarmente esposte il giorno dopo.
Ciononostante, e sebbene l’alleanza Italia-Germania abbia già fatto danni rimarcabili in passato, il duo italo-alemanno avanzava inesorabile verso la meta, cioè le Torri, da cui il parco prende il nome. E dopo nove ore: eccole là!
Che vi devo dire ragazzi…ho pianificato due mesi di viaggio in funzione di questi giorni che avrei dovuto passare al Torres del Paine e se avessi avuto solo sole spianato, con la brezza che mi accarezzava la chioma, sarei stato sicuramente felice. Ma così è stato davvero il massimo, la miscela perfetta. Non avrei potuto chiedere di meglio.
Ho scoperto una nuova droga. Si chiama Patagonia.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!