Una grande traversata in solitaria del Sud America: dall’Ecuador alla Patagonia cilena e argentina, passando per il Perù e chiudendo con due capatine in Brasile e Uruguay. Un viaggio per me memorabile.
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Imponenti sono imponenti. Maestose sono maestose. Una meraviglia della natura? Assolutamente sì. Qualcosa da vedere una volta nella vita? Sì. Qualcosa che mi è rimasto incastrato dentro da qualche parte? No.
Lato brasiliano prima, lato argentino dopo, la sensazione è stata sempre la stessa: tutto molto bello ma.
E’ un problema tutto mio, ma mi rendo conto che caracollare per le passerelle che corteggiano queste immense cascate dovendosi fare strada tra una selva di selfie stick, prole urlante, gomiti aguzzi non fa per me. Non entro in sintonia, non c’è niente da fare. Il caldo opprimente, l’afa, gli insetti…passa tutto in secondo piano, il fastidio, quello vero, è altrove. E io stesso sono parte di quel fastidio, in quanto merdosissimo turista.
Mentre mi arrovello sulla questione (se esista cioè un modo per garantire il diritto di godere di queste cascate a tutti e nel contempo preservare un’esperienza più vera), capisco che la frase ‘Ci devo comunque andare, e quando mi ricapita di essere qui?’ fa più danni che altro, quando si viaggia. Quella vocina (giorno #57/58) avrei forse dovuta ascoltarla, perché fondamentalmente…finché sei vivo e finché lo vuoi, c’è sempre una prossima volta.
Mentre elevavo il mio sistema pensiero verso queste vertiginose vette passeggiando svogliato per lato argentino, mi sono imbattuto in una corpulenta islandese in bikini, poco più che ventenne. L’occasione era ghiotta e non potevo lasciarmela scappare, pertanto dopo averla imbonita e ammaliata con la mie conoscenze sul suo paese, ho posto quella domanda che incubava sin da quando ho saputo della sua nazionalità:
‘Ma è vero che voi islandesi siete votate alla promiscuità sessuale?’
‘Assolutamente sì. Voi europei ci chiamereste puttane…’
‘Molto bene. E questo che dinamiche sociali innesta?’
‘Il più alto tasso di malattie veneree dei paesi sviluppati.’
Tutto ciò mi ha rincuorato: perché in Islanda avevo dato retta a quella vocina, la solita, che mi suggeriva di dedicarmi a aurore boreali, cascate e geyser. La vocina non sbaglia mai, a quanto pare.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!