Di nuovo sveglia alle 6.30 per puntare su Nefta, arrivare al set di Star Wars e buttarsi nel deserto. Abbiamo i gpx delle piste forniti da Alberto del gruppo Africa Twin, non possiamo perderci. Basta seguire la seconda regola aurea concordata:
mai uscire dalle piste.
Ma somiglia tutto cosi tanto a un parco giochi sulla sabbia che dopo manco mezz’ora vaghiamo qua e là come bambini all’asilo. E ci ritroviamo a smadonnare per tornare sulla pista giusta, con Struso che invariabilmente riesce a scegliere i passaggi peggiori.
È veramente oltre ogni aspettativa: si può provare di tutto, vedere come risponde la moto, tentare dunette, salite, sabbia meno battuta. Sarebbe il top avere sotto al culo un mono nudo e crudo invece che queste maxi enduro da 250kg con borsone e bauletto. Ma non mi lamento: arrivare fin qui in sella al vecchio Dominator mi sarebbe costata la prostata.
Inizia a fare caldo, il cielo è blu elettrico e la sabbia finissima un velluto dorato, uniforme e vagamente rassicurante, che si liquefà in tremuli miraggi allungati sulla linea dell’orizzonte.
Appena spegnamo le moto, il silenzio del deserto ci investe.
Nessuno cade: essendo il nostro vero battesimo sulla sabbia significa che forse dovremmo osare di più.
Finiamo la lunga pista e ripuntiamo su Tozeur per poi attraversare il Chot el Jerid a manetta, l’immenso lago salato in secca, dove mi parte una vite del casco e perdo quasi la visiera. Valla a ritrovare adesso quella cazzo di vite.
Qualcuno di noi approfitta della sosta forzata per cambiare acqua alle olive. Non credo si offenda nessuno.
Stiamo correndo perché vogliamo fare la pista che parte da Douz e arriva al Cafè porta du desert, l’ingresso al Grand Erg Orientale. È il Sahara tunisino.
Ecco, mi sento pronto e qui decido di osare di più. E infatti eccomi:
Nessuno si scompone, come sempre siamo qui per questo.
Arrivati al Cafè abbiamo così fame che persino una ignobile pasta scotta ci sembra deliziosa. Si sta da dio. Nessuno tranne noi, il gestore e due ragazzi locali in motorino.
Da qui si potrebbe continuare per il parco Jbil, ma è una pista molto lunga ben oltre le nostre capacità.
Riprendiamo la pista per Douz quindi, perché il Sahara al buio, almeno quello, proprio no.
Stavolta nessuno cade. E c’è finalmente tempo per godersi un tramonto africano.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!