Non ho ancora cominciato e mi sembra di aver scalato l’Everest: 25 ore tra poco raccomandabili combinazioni voli di linea / voli low cost, sedili XXXS e ritardi titanici targati Lufthansa, coincidenze quasi mancate, nebulosissime norme sui transiti indiani a cui ho ben pensato di aggiungere giusto 6 ore di corsa assassina su strada tutta crateri, curve e polvere.
Uno scenario inabitabile, dove il frontale è sempre in agguato, il cane sempre pronto a buttarsi sotto e gli sciami di moto ti si infilano in pertugi impossibili che giureresti di averne abbattuta almeno una, ma invece ti passano tutte come attraverso, in una nuvola di terra e sabbia.
La tratta Katmandu – Besisahar somiglia a un corsa cieca e disperata dove tutti devono superare tutti, comunque, a ogni occasione e a ogni costo.
Totale? 31 ore di viaggio filate per ritrovarmi qui a Besisahar, villaggio nepalese da cui parte il celeberrimo circuito dell’Annapurna. A dirla tutta pochissimi partono da qui ormai, i più usano delle jeep per saltare le prime 3/4 tappe considerate ‘non così fondamentali’ dopo la costruzione della strada che risale la valle scavata dal fiume Marsiangdy (che sicuro non si scrivetà così).
Io invece sono del partito dei conservatori e siccome esistono diverse alternative per bypassare la strada, domani salto su un bus fino a Ngadi (pochi km più a nord) e da lì comincio a salire come un mulo. Non lo faccio per manie di completismo, ma perchè voglio gustarmi la staffetta tra i vari climi e ambienti. Nell’ordine: campi terrazzati e risaie, foresta subtropicale, clima alpino, alta montagna e infine, al di là del passo Thorong La (5416), ambiente drammaticamente desertico.
Se tutto va bene in un poco più di una settimana punterò il bastone a quei maledetti 5416 metri e poi scenderò dall’altro lato. Fino a dove non so ancora, valuterò cosa riesco a combinare, stretto nella morsa del capitalismo postmoderno che mi rivuole a casa dopo appena 17 giorni. Anche questo uno scenario sempre meno abitabile.
La strada è tanta, il dislivello pure, l’intossicazione alimentare sempre in agguato e sopra i 3000 inizierà a fare un freddo artico: ma quello che più mi preoccupa è naturalmente il cosiddetto mal di montagna, perché ci ho già sbattuto il muso un paio di volte. Seguirò le norme basilari e si vedrà.
Adesso qui a Besisahar, con le tenebre calate, prima di sprofondare nel letto del mio tugurio da 6 euro ci sono solo due cose da fare: cercare un paio di bastoni da trekking prima che chiuda tutto e mangiare sperando di non prendere da subito la sciolta.
Domani vi dico.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!