Nepal 2024 – Annapurna circuit giorno #10 – Da Yak Kharka a Thorong Phedi: reparto di pneumologia a 4450 mt

La giornata di trekking sarà breve: non è consigliato salire più di 500 metri al giorno dopo i 4000, e oggi a Yak Kharka segnamo 4075. L’obiettivo è arrivare a Thorong Phedi (4600), concedersi una sgambata tonificante verso High Camp per acclimatarsi (4900) e tornare di nuovo a Thorong Phedi per il meritato risposo. Da lì, il giorno dopo, ci sarà l’assalto finale al passo Thorong La (5416), subito seguito da una vertiginosa discesa su Muktinath (3800)… sì, 1600 metri di dislivello. Roba da lasciarci le ginocchia.

La camminata da Yak Kharka è molto dolce, quasi defaticante. Per arrivare a Thorong Phedi si calca un ponte sospeso infinito, il più lungo attraversato durante tutto il circuito.

Nepal 2024 - Annapurna circuit giorno #10 - Da Yak Kharka a Thorong Phedi: reparto di pneumologia a 4450 mt

Io e gli amici sardi arriviamo prestissimo, saranno le 10, una sciura nepalese in sovrappeso ma dai tratti aggraziati ci appioppa una tripla di 5 mq: è palesemente già fin troppo stretta per essere una doppia, ma tra i due letti ce ne hanno infilato un terzo. Tanto per ottimizzare. Non c’è spazio tra un letto e l’altro, non c’è spazio in fondo ai letti, semplicemente non c’è spazio punto. La prendiamo nell’unico modo in cui va presa: come una sfida nella sfida.

Nepal 2024 - Annapurna circuit giorno #10 - Da Yak Kharka a Thorong Phedi: reparto di pneumologia a 4450 mt

Questi due ragazzi sassaresi mi sembrano i compagni perfetti: sono così diversi tra loro ma hanno grande spirito di adattamento, sono positivi e camminano con la giusta verve. Amedeo fa il producer nel suo studio, è quello più introverso e riflessivo. Si vede che è uno che ci pensa sempre almeno due volte prima di fare qualcosa. Antonio invece è una molla perennemente carica, fa l’erborista e gli piace armeggiare con le mappe. Io che posso tranquillamente oscillare dall’estremo Amedeo all’estremo Antonio nell’arco di venti secondi, mi trovo perfettamente a mio agio tra loro. Peccato che sia nettamente il più vecchio, ma questa è un’altra faccenda (magra consolazione, sono quello con più capelli).

Per salire a High Camp è un bel muro di circa 3 km che di solito si coprono in un’ora, molti decidono di dormire lassù proprio per evitare di sbatterci il muso di prima mattina. Sottostimano però che dormire a 4900 è una vera tortura (e infrange la regola dei 500 metri a notte). Quindi Thorong Phedi tutta la vita, a 4900 senza riscaldamento ci dormite voi.

Tra quelli che invece scelgono Thorong Phedi, la maggior parte è così imparanoiata che parte col buio a temperature proibitive pur di superare il Thorong La pass entro le 10 di mattina, orario dopo il quale potrebbero alzarsi venti importanti. A noi sembrano minchiate: il meteo è dalla nostra, quindi partiremo alle 6 da Thorong Phedi e amen, quel che sarà, sarà. Col buio, a -10, sull’Himalaya, ci camminate voi.

Ad ogni modo, dopo pranzo io e Antonio ci facciamo questa scarpinata tutto meno che morbida fino all’High Camp, dove ci concediamo un tè e lasciamo che il nostro organismo si adatti per un’oretta a questi maledetti 4900. Poi scendiamo, e cominciamo a preparaci mentalmente per la nottata nella nostra cella frigo.

La dining hall è molto ruvida e spartana, se non fosse per la stufetta saremmo sotto lo zero da ore. Ceniamo, stiamo un po’ li a cezzeggiare, mi concedo un botta e risposta con un’odiosissima trumpiana trapiantatata in Texas (Portland era troppo di sinistra, dice) e il mometo arriva: tutti nella suite himalayana. Ah, domani sapremo anche chi sarà il nuovo presidente USA, ma dagli exit poll che sbandierava la repubblicana un’idea purtroppo già ce la siamo fatta.

La notte è tutta un rantolo, tra apnee notturne, versi sinistri e risvegli improvvisi a corto fiato: battezzeremo la stanza ‘Reparto di pneumologia d’alta quota’. Tutto normale, l’importante è resistere allo stimolo di pisciare perchè uscire dal sacco a pelo a questa temperatura per cercare un bagno là fuori, nelle tenebre, non è una cosa che si augura. Una prova non so se più mentale o fisica, ma comunque un momento a cui mi preparo psicologicamente da prima della partenza.

Due cose mi sono di conforto: la solita borraccia piena di acqua bollente ben infilata nel sacco a pelo e il pensiero che quelli lassù all’High Camp, con la testa e i polmoni a 4900, se la staranno vedendo sicuramente peggio.

Daniele ERMES Galassi

Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!

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