Alle 7.30 spaccate eccoci a cospetto di una corposa omelette balcanica: 3 uova a testa + prosciutto + pomodori + burro, a cui la signora di casa aggiunge una tazza di fango spacciandocela per caffè.
Adesso c’è da finire il loop del Durmitor, che da questo lato cambia completamente volto: una strada stretta serpeggia in un sottobosco fitto, alpino, verdissimo. Quando sbuca fuori dalla vegetazione, ci regala viste su canyon, villaggi e montagne completamente ricoperte di pini. Girare qui a 30/40 all’ora nella prima luce del mattino è impagabile.


Richiudiamo il cerchio su Zabljak energizzati dalla prima ora e mezza di moto e via verso il confine, dove il doganiere di turno mi sferza a male parole per chiarire subito che ora siamo in Serbia.
Ma che cazzo vorrà sto stronzo, Sté? Ah il libretto, giusto.
Qui in Serbia si respira aria diversa, si spettina un po’ tutto. Traffico disarticolato, immondizia ai lati della strada, macchine più scassate, facce piú arcigne e un esercito di cani randagi. Molto più simile alla Bosnia che al Montenegro, insomma. Lo dico: tra gli stati dell’ex Jugoslavia, la Serbia è quella che mi attizza di meno.
Ha comunque i suoi momenti, come la strada subito al di là del confine o quelle dei tanti parchi che ti ritrovi improvvisamente sotto le ruote. Ma c’è anche molta pianura rurale (che comunque ha il suo fascino drammatico) e soprattutto qualche città snodo da incubo. Come Novi Pazar.
Novi Pazar salta in pole position tra i posti di merda in cui guidare una moto. Immaginate di imbucarvi a 37 gradi Celsius vestiti con giacche e pantaloni tecnici in una lugubre via, stretta e lunga, densa di effluvi venefici, traffico asfissiante generato da ogni tipo di mezzo a motore e non, tallonati da mostruosi, titanici mezzi da lavoro dalle forme più spaventose subito pronti a travolgerti col loro devastante clacson se poco poco tentenni mezzo secondo.
Abbarbicati ai lati delle scarpate, cimiteri musulmani vegliano all’ingresso del budello urbano, che richiede venti lunghissimi minuti per essere attraversato, ma porca puttana sembra un’intera giornata. Stè, poco avvezzo alla ruvidità balcanica, ne esce devastato nel fisico e nella mente.
Mai più a Novi Pazar, piuttosto allungo 3 ore ma passo per monti, giuro.
Kopaonik, nota località sciistica in cui ero già passato nel 2018 sulla via per la Bulgaria, ci accoglie con uno sterminato cantiere a cielo aperto dove svettano gru e resort di lusso a perdita d’occhio. Via di corsa anche da qui percorrendo la strada del parco che è bella e divertente, anche se a pagamento (in verità alla casupola per il ticket non c’era anima viva).
A ridosso dei 400 km giornalieri, col culo ammaccato da una decina d’ore di viaggio, c’è da decidere dove piazzarsi per la notte. Impregnati ancora dell’orrore di Novi Pazar, ci buttiamo su Krusevac facendoci il segno della croce. I requisiti inderogabili per l’alloggio sono due: deve essere fuori dal casino del centro e deve avere un ristorante annesso.
Perchè dopo una giornata così, di rimettersi il casco e rischiare un’altra Novi Pazar, anche solo per mezzo metro, non se ne parla nemmeno.
Domani un altro paio d’ore di Serbia e poi sarà Romania.
Daniele ERMES Galassi
Zaino in spalla, mani sul volante, casco in testa: vale tutto. Andale!